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Vico Magistretti: la sincerità dell’abitare

Aveva affisso uno specchio nell’imbotte della finestra del suo Studio, all’angolo tra via Conservatorio e via Bellini a Milano. Gli serviva per ammirare le absidiole laterali della Chiesa della Passione comodamente seduto alla sua scrivania, ogni volta che ne aveva voglia. Soluzione semplice, pulita, intuitiva, come un ombrello: perfetta sintesi di forma e funzionalità. E da quello Studio nasceva tutto: disegni, progetti, concetti, spesso appuntati su un programma di teatro o su un biglietto della metro, o dettati al telefono a qualche committente o collaboratore. Ottanta metri quadri al pian terreno di pura e semplice creatività. 

Vico Magistretti

Architetto per vocazione designer per divertimento, Vico Magistretti è stato un milanese doc dallo stile british, con quell’asciuttezza espressiva tipicamente lombarda e una passione intramontabile per i calzini rossi, che amava girare la propria città in bicicletta o in metropolitana. Nei suoi quasi sessant’anni di attività seguita a osservare il mondo con un occhio curioso ed ironico capace di un’eleganza sobria ed essenziale che rivisita il rigore caratteristico del Movimento Moderno con la dolcezza e la necessità della tradizione italiana. È l’architetto che collabora a ripopolare la Milano distrutta del secondo dopoguerra, ed il designer che rivoluziona il significato stesso di concept design con quella sua, inconfondibile, leggerezza che tende alla sottrazione. Se qualcosa stona nelle forme, nel progetto; se si percepisce un’insoddisfazione verso l’oggetto creato, è perché c’è del troppo che ancora non è stato snellito

Esempio di design a firma Vico Magistretti

Prodotti utili, durevoli, insensibili agli umori del tempo. Puliti ed eternamente attuali, d’una modernità gentile e una leggerezza che pare come sospesa, quasi galleggiante nello spazio. Oggetti divenuti celebri, come la lampada Eclisse (1960) che gli valse il Compasso d’oro nel ‘67 o la sedia Maui prodotta per Kartell nel 1995. 

Ma per me il vero genio di Magistretti è sempre stato il suo modo di modulare lo spazio, la sua esigenza di fare dialogare ambienti diversi grazie ad aperture, garantendo all’attore dell’abitare la possibilità di traguardare nel contesto adiacente. Varchi, finestre. Scale. Meravigliose scale scomposte che crollano come una cascata di cubi da un passaggio che si apre curvilineo nel muro[1]. Altre che galleggiano – aggetti della parete di intonaco bianco – come scaglie librate nel vuoto, adornate solo dall’intarsio in legno chiaro che ne definisce il profilo[2]. Altre ancora accompagnate da un corrimano ricurvo che ricorda un apostrofo, o la coda arrotondata di una nota musicale, come se le melodie della filodiffusione sempre accesa nello Studio di Vico Magistretti avessero preso corpo negli schizzi di progetto, per poi vedersi realizzate lì, sulla scalinata della Club House di Carminate che l’architetto ultima nel 1960 come sede del Golf Club locale. 

Un edificio moderno dalle terrazze estremamente aggettanti, dagli intelligenti giochi di luce ricreati con tagli, finestre e aperture inedite e dal sapore casalingo dato da scelte strutturali tipicamente domestiche che qui tuttavia si fondono paradossalmente bene con l’atmosfera del Country Club. E nel cuore della pianta si allarga un meraviglioso salone ristorante cosparso da decine di “sedie dei Beatles” (Carimate, prodotta prima da Cassina, poi rieditata da De Padova nel 2001), sulla cui lunghezza si apre una parete interamente vetrata che lascia entrare il paesaggio luminoso del green, permeando la Club House di una luce limpida e naturale. 

Tutti gli interni di Magistretti sono interventi di struttura. Ambienti che divengono forme stesse di architettura, autonome e indipendenti, e non vani da riempire di oggetti. 

“…Una volta finita la casa, vorrei potesse restare vuota.  (…) In un certo senso, quando faccio un’architettura degli interni, faccio già un arredo”[3].

Uno spazio sincero. Da abitare, senza tempo.

Club House, Vico Magistretti, 1960

[1] Scala di cubi nell’appartamento Gavazzi di via Goito a Milano, 1953 – 59.

[2] Scala di Casa Bassetti di via via Foscolo ad Azzate, 1961 – 62.

[3] Gli arredi degli architetti, Domus 748, aprile 1993


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Federica Musto

Amo l’arte in ogni sua forma, amo la bellezza e la curiosità che mi porta a scoprire sempre cose nuove.

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