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Philadelphia a Milano: Impressionismo e Avanguardie

Un pezzetto del Philadelphia Museum of Art in mostra a Palazzo Reale. È questa la sensazione che si prova nel visitare Impressionismo e Avanguardie, la nuova esposizione in calendario fino al 2 settembre e che rappresenta il terzo appuntamento del progetto pluriennale Musei dal mondo a Palazzo Reale. Si tratta di un’iniziativa con lo scopo primario di permettere ai visitatori un assaggio di realtà espositive anche molto distanti (spazialmente parlando) e dunque difficili da vedere.

Bella iniziativa, e soprattutto belle opere.

Renoir, Ragazza che fa il merletto, 1906 Philadelphia Museum of Art, Stern Collection, 1963
Renoir, Ragazza che fa il merletto, 1906 – Philadelphia Museum of Art, Stern Collection, 1963

In questo caso si tratta di una piccola mostra di cinquanta capolavori tra quadri e sculture. Piccola e preziosa. Cinquanta gioielli, uno più bello dell’altro: una raccolta ristretta che permette di avere un saggio del museo statunitense e di apprezzare ogni pezzo nel profondo, senza perdersi nulla e senza arrivare stremati alla fine del percorso. Complice l’allestimento semplice e lineare, in cui ogni capolavoro viene messo in risalto a dovere. Peccato solo per le indicazioni delle audioguide: caotiche, poco chiare, non ben congeniate nei riferimenti alle opere e che rendono la visita forse superficiale per il visitatore non esperto – errore che un’istituzione come quella di Palazzo Reale non dovrebbe potersi permettere. E va beh.

Torniamo, piuttosto, al contenuto. Suddiviso in nove diverse sale, il percorso segue l’evoluzione del Philadelphia Museum nella costituzione della propria collezione per mezzo di importanti donazioni da parte dei collezionisti privati. Opere che spaziano dall’impressionismo francese all’astrattismo, fino al surrealismo catalano di Dalì e alle opere mature di Picasso.

Degas, Classe di danza, 1880 Philadelphia Museum of Art, W. P. Wilstach Fund, 1937
Degas, Classe di danza, 1880 – Philadelphia Museum of Art, W. P. Wilstach Fund, 1937

Trovo curioso apprendere come il Philadelphia Museum sia uno dei primissimi musei americani (ma non solo) ad esporre pittura impressionista – d’altra parte sono stati proprio i collezionisti statunitensi del XX secolo a permettere la tanta fortuna che l’arte moderna riscontra ancora oggi. Siamo nel 1921 e il merito è tutto di una collezionista (e pittrice lei stessa) di nome Mary Stevenson Cassatt e di suo fratello Alexander. Grazie al loro contributo e al loro tramite, già nel 1886 il mercante d’arte Durand-Ruel allestisce a New York una mostra di duecento opere di impressionismo francese, che ben presto cominciano ad arredare le belle residenze degli imprenditori americani più in vista, con i loro colori brillanti e le luci sfarfallanti e ariose. Nella mostra milanese, le donazioni Cassatt al museo di Philadelphia riempiono le prime due sale, quelle dedicate, appunto, ai paesaggi: Manet, Pisarro, Degas con un bell’esempio di Classe di danza del 1880. E ancora il Ponte giapponese (1890) di Monet, con quegli azzurri cangianti e quel viola meraviglioso che sa di vita, risveglio e primavera in rigoglìo.

Rodin, L’atleta, 1901 Philadelphia Museum of Art, Collezione White, 1967
Rodin, L’atleta, 1901 – Philadelphia Museum of Art, Collezione White, 1967

C’è poi Cézanne con le sue vedute costruite sull’incastro di campiture piene di colore e sprazzi di tela grezza; e Renoir con i suoi visi di fanciulle, che trionfa nella sezione dedicata ai ritratti. Ragazza che fa il merletto (1906) risplende con quella pelle di pesca, le labbra rosse e delicate e quel meraviglioso ciuffo di capelli biondi che le scivola a lato del volto mentre lei, intenta, si dedica a tendere il filo.

Al centro della sezione dedicata alla Donazione White, invece, troneggia una splendida, piccola scultura in bronzo di Rodin che, con i suoi riflessi, attrae a tal punto l’attenzione da adombrare (quasi) il resto delle opere esposte lì attorno. Si tratta di un ritratto dello stesso Samuel White – il collezionista, appunto – che si presta allo sguardo in tutta la sua possanza fisica. La posa ricorda molto quella del celebre Pensatore (sempre di Rodin) mentre la schiena larga e muscolosa cattura la luce nella modulazione del bronzo, creando un gioco luminoso da vero maestro.

Soutine, Paesaggio, 1924, Philadelphia Museum of Art, Stern Collection, 1963
Soutine, Paesaggio, 1924 – Philadelphia Museum of Art, Stern Collection, 1963

Nella sala destinata all’École de Paris ad attrarre l’attenzione (la mia, almeno) è un colorato e ingarbugliato quadro di Soutine che spicca – a mio avviso – sopra le più grandi opere di Chagall o Rousseau. Si tratta di un Paesaggio del 1924 che vede una strada avvilupparsi in un nodo di case fino a creare una collina; al centro una simpaticissima veranda colorata e spiovente costituisce il cuore dea rappresentazione.

Nella sala successiva, dedicata alla collezione dell’avvocato Stern – per altro amministratore del Phildelphia Museum of Art per diversi anni -, è invece una statua di Picasso a destare lo sguardo. Il Giullare (1905) è un busto in bronzo modulato, nelle superfici, sullo stile di Rodin, che guarda lo spettatore con quell’aria vagamente beffarda sottolinata quel cappello che – paradossalmente – appare in tutta la sua morbidezza metallica sul capo del clown. Bellissimo.

Picasso, Il Giullare, 1905 - Philadelphia Museum of Art, lascito Elkins, 1950a
Picasso, Il Giullare, 1905 – Philadelphia Museum of Art, lascito Elkins, 1950a

E finalmente la collezione Arensberg, forse quella che più di tutte ho apprezzato in questo gioiellino di mostra. Come dire: la ciliegina candita su una cassata di finissima pasticceria. Appena entrata, sulla destra, spicca in tutta la sua potenza pittorica una tela di Klee. Mi ha sempre affascinato questo pittore. Forse per la semplicità solo apparente delle sue opere; forse per i colori o per quella filosofia che soggiace ogni pigmento: dei, spirito, natura – li si chiami come si preferisce – hanno sì dettato una “legge di creazione”, ma hanno poi creato effettivamente solo una piccola parte degli esseri del mondo; l’artista è nato per giocare con quella legge e dare forma a tutto il resto degli esseri possibili. Fatto sta che quella piccola tela d’un rosso profondo, penetrante, quasi cupo su cui brillano i sottili tratti stilizzati delle figure, mi attira come un magnete fa con una monetina.

P. Klee, Carnevale al villaggio, 1926 Philadelphia Museum of Art, Collezione Arensberg, 1950
Klee, Carnevale al villaggio, 1926 – Philadelphia Museum of Art, Collezione Arensberg, 1950

Faccio per avvicinarmi e osservarla meglio, dedicarle tutto il tempo che merita, ma poi mi volto e lì, proprio nel mezzo della sala, lo sguardo cade sul Brancusi. E niente da fare: tutto il resto sparisce. Comincio a camminare in tondo, piano, costeggiando attentamente il blocco di pietra. Non posso perdermene nemmeno un centimetro. “Nella statua ciò che conta è la cosa completa” commenta l’autore. E ha ragione. Il Bacio (1916) è prima di tutto, prima ancora di essere arte, una cosa completa. Due corpi uniti in un nodo d’abbraccio, divisi soltanto da una linea verticale scolpita nel calcare. A differenziare lui da lei pochissimi dettagli: la figura femminile ha la chioma più lunga e una piega nella pietra a segnarle appena il seno. L’essenzialità regna padrona, ma la forza sprigionata dai due corpi uniti in un semplice bacio non può che imprigionare lo sguardo e lasciare senza fiato.

C. Brancusi, Il bacio, 1916 Philadelphia Museum of Art, Collezione Arensberg, 1950
Brancusi, Il bacio, 1916 – Philadelphia Museum of Art, Collezione Arensberg, 1950

Tutto intorno si stagliano begli esempi di cubismo analitico, Picasso, Braque. C’è anche un notevole Kandinskij degli anni ’20 e, più oltre, il surrealismo di Dalì e di Mirò. Li scorgo quasi per sbaglio. Nulla da fare: il pensiero, gli occhi, e anche un pezzo di anima sono rimasti lì, addosso al Brancusi.

Un’ultima considerazione prima di uscire: tra le mete prima di morire va decisamente aggiunta Philadelphia.


INFORMZIONI UTILI:

Impressionismo e avanguardie. Capolavori dal Philadelphia Museum of Art

Palazzo Reale di Milano

Fino al 2 settembre 2018

Federica Musto

Amo l’arte in ogni sua forma, amo la bellezza e la curiosità che mi porta a scoprire sempre cose nuove.

2 pensieri riguardo “Philadelphia a Milano: Impressionismo e Avanguardie

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