fbpx

Plutone senza veli

New Horizons ha sfiorato Plutone. La notizia che la piccola sonda lanciata nove anni fa è arrivata a destinazione ha fatto in breve tempo il giro del mondo: “Ha telefonato a casa” ha commentato ieri la NASA. Ma ciò che tutti aspettiamo deve ancora avvenire. Oggi dovrebbero arrivare le prime immagini scattate a Plutone: delle fotografie ad alta risoluzione in grado di mostrarci sulla superficie del pianeta-nano oggetti grandi quanto un campo da calcio. Non che dati e valori indispensabili per lo studio del pianeta, con cui costruire schemi e grafici rivelatori.

Ed è subito notizia. Delle immagini che ci mostrano un pianeta tanto lontano come mai è accaduto prima nella storia. Delle immagini in grado di mostrarci la realtà di un mondo che fino ad oggi abbiamo solo potuto fantasticare.

Certo che, a pensarci, è paradossale come le immagini scientifiche siano considerate delle vere e proprie “prove tangibili”, delle autenticazioni in grado di dimostrare che quel certo evento, che quel dato fatto è reale, è accaduto per davvero. Proveniamo da una cultura – la cultura greca classica – in cui alti pensatori del calibro di Platone denigravano l’immagine a copia, mimesis del reale. Immagine come copia della copia, a dirla tutta: copia dell’oggetto fattuale già di per sé misera copia dell’idea di tale oggetto. E bisognava fare attenzione: ingannevoli esseri le immagini, bugiarde creature che si fingono l’oggetto di cui sono invece mero riflesso. Manipolatrici, per di più. Bisogna temere le immagini, poiché esse ci allontanano, esse ci separano, ponendosi nel mezzo, dall’oggetto della realtà. Esse rendono la nostra visione mediata, dunque indiretta, condizionata.

Sonda New Horizon in corsa verso Plutone
Sonda New Horizon in corsa verso Plutone

E oggi? Oggi la situazione sembrerebbe essersi ribaltata. Oggi le immagini in qualche modo sarebbero in grado di validare, fungerebbero da prova per una realtà che siamo troppo disillusi e sospettosi per considerare completamente sincera. Dunque la verifica ottenuta dalle immagini di sorveglianza, dunque il riscontro dato dal fatto che “l’ho sentito in televisione, quindi deve essere vero per forza”. Immagini che passano dallo stato di bugiarde manipolatrici alla condizione di araldi d’autenticità. Figure che, in qualche modo, ci rassicurano.

Davvero paradossale. E tale discorso si accentua per quella parte di immagini che, siccome scientifiche, crediamo essere in grado non solo di servire da prova, ma perfino di rivelare quella certa verità cui, in caso contrario, non saremmo proprio potuti pervenire. Di più: tali immagini per la maggior parte delle persone non sono nemmeno delle immagini, ma il mondo stesso. Le crediamo immediate, oggettive, sincere. Esse ci mostrano l’arcano, sciolgono i nostri dubbi, svelano l’inghippo. Ci espongono le cause di quegli effetti che hanno da sempre sollevato i nostri perché. Eppure, come osserva Latour in un bel saggio del 2002, «È sono grazie a così tante mediazioni che le immagini scientifiche sono in grado di essere oggettivamente vere.»[1]. Non ci pensiamo mai, ma sono poche le immagini tanto mediate quanto quelle scientifiche: strumenti costosissimi, elaborazione dei dati, traduzione e costruzione per arrivare a dar vita a quelle figure rappresentative di un certo fenomeno. E così tramite il brain imaging riesco a visualizzare l’attività di particolari aree del mio cervello mentre mangio un gelato o canto una canzone, con l’ecografia in 4D ricostruisco l’aspetto del bambino che porto in grembo. “Visualizzo”, “ricostruisco”, metto – appunto – in immagine. Creo perciò un’immagine – a partire da dati e informazioni certo, ma creo, fabbrico. E lo faccio io, io uomo, io donna, io scienziato. Usando la mia tecnica, i miei strumenti di editing, i miei media. Do’ vita ad un artefatto: la mia validante, oggettiva, universale prova scientifica. Un’immagine indubbia che attesti l’esistenza di quel fenomeno che voglio studiare. Un’immagine creata come prova inconfutabile di realtà.

New Horizons ha sfiorato Plutone. A breve arriveranno le prime fotografie. Una manciata di ore e sapremo tutta, ma proprio tutta la vera verità sul piccolo, ghiacciato pianeta.

Federica Musto


[1] Bruno Latour, Che cos’è Iconoclash, introduzione al catalogo della mostra “Iconoclash: Beyond the image Wars in the Science, Rligion, and Art”, (2002), presso lo ZKM, Karlsruhe.

Federica Musto

Amo l’arte in ogni sua forma, amo la bellezza e la curiosità che mi porta a scoprire sempre cose nuove.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

 

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.