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Il conflitto delle immagini: da Iconoclastia a Iconoclash

Il conflitto delle immagini: da Iconoclastia a Iconoclash

Viviamo in un mondo pieno zeppo d’immagini. Alcune le adoriamo, ad altre crediamo ciecamente, altre ancora ci sconvolgono a tal punto da volerle eliminare. In ogni caso non riusciamo a ignorarle: e sarebbero “solo” immagini?

Platone sognava una città senza immagini. «Sono esseri ingannevoli» (Repubblica, IV sec a.C.): esse non solo costituiscono una “copia della copia”, una mera riproduzione degli oggetti del mondo, ma si spacciano per quegli stessi oggetti di cui sono immagine. Oltre al danno la beffa, verrebbe da dire.

Ma le cose stanno davvero così?

Secoli e secoli di iconoclastia sembrerebbero avvalere questa ipotesi. Ma perché il bisogno distruggere le immagini? Alcune culture considerano le immagini religiose dei feticci: chi adora un’immagine compie sacrilegio, adora un oggetto artefatto dall’uomo, un falso, che lo allontana dalla verità. Ma se le immagini sono false e manipolatrici in quanto del tutto artificiali, come la mettiamo con le immagini scientifiche? Davanti ad un’ecografia in 3D nessuno si sognerebbe mai di urlare al “feticcio!”, nessuno ne obietterebbe l’oggettività. Eppure le immagini scientifiche sono quanto di meno trasparente possa esistere: esse devono essere ritoccate per poter essere comprese.

Per non parlare poi dell’arte contemporanea. Isgrò, Ai Wei: creatori o iconoclasti?

Latour, nel catalogo da lui scritto per una mostra del 2002, conia il termine Iconoclash. Le immagini, grazie alla loro duplice essenza di significante e significato, di forma e sostanza, riescono sempre a scatenare violente passioni. C’è chi crede che la mano che le genera le renda contraffazioni; chi invece è convinto che la mediazione da loro offerta sia fondamentale per giungere alla verità che trasportano.

Insomma: un vero terreno di scontro. Iconoclash, appunto.

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