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Un gioiello che vivifica l’arte: Alberto Zorzi

Un gioiello che vivifica l’arte

 “Guardare ma non toccare”.

Quattro semplici parole capaci di riassumere la filosofia del rapporto arte-fruitore degli ultimi cinquecento anni. Da cinque secoli entrare in un museo significa mettere piede in un luogo speciale, sacro: il luogo delle opere d’arte. E queste opere d’arte sono trattate come cimeli, reliquie da venerare. Eppure le opere d’arte sono manufatti, manu factis a tutti gli effetti. Nessuna origine divina, nessun natale extraterreno. Oggetti creati dall’uomo. Certo artisti, ma sempre uomini.

Diceva bene Marx quando parlava di “feticci”. Gli oggetti creati dall’uomo, la merce, sembrano essere dotatati di un valore intrinseco. Eppure sono tutti oggetti, arte compresa, creati dal lavoro dell’uomo. Ed è proprio questo, il lavoro umano, a dare loro un certo valore.

Peccato che poi l’uomo, essere distratto, tenda a dimenticarsene. Ecco che l’opera, allora, si tinge d’un tono sacrale. Diventa Opera d’Arte, oggetto da museo.

Così l’arte viva, l’arte plasmata dal gesto del suo creatore, diventa un fenomeno da poter ammirare da lontano.

E perde il suo vero valore.

Quando i colonialisti spagnoli, sbarcati in sud America, hanno fato razzia dell’arte locale per metterla al “salvo” nei musei in patria, di fatto hanno compiuto un massacro. Quando l’arte perde la propria funzione, viene sradicata e impagliata su un piedistallo, qualcosa in lei si rompe.

È un po’ come una falena, diceva Aby Warburg, messa sotto vetro. Bellissima da vedere, ma priva di afflato vitale.

Discorso a parte farebbero le arti applicate.

Ma Semper nel suo celeberrimo Der Stil (1860) affermava che, in realtà, la distinzione arti maggiori/arti applicate non avesse ragione d’essere: se l’uomo, creando, esprime se stesso e il proprio tempo, non fa differenza la classe di appartenenza dell’oggetto finale. Che sia quadro, statua o monile, il risultato è comunque kunstwollen[1], volontà d’arte.

Arte e funzionalità, forma e scopo, sacralità e utilizzo.

“Intendo creare un oggetto con una personalità unica, come una scultura di piccole e medie dimensioni che al proprio interno nasconda l’utilità d’uso funzionale.” [2]

Alberto Zorzi è uno dei maggiori maestri orafi italiani. Creare gioielli per lui vuol dire “portare nel microspazio del gioiello contenuti e forme che rappresentassero la ricerca artistica contemporanea e lo spirito del tempo”[3]. Vuol dire ridonare il volo alla falena. Vuol dire riportare l’arte alla vita.

Vuol dire “Guardare e toccare”, anche oggi.

Federica Musto


[1] Cit. Riegl

[2] Alberto Zorzi, intervista contenuta in Sculture da indossare, M. A. Tiozzi.

[3] Alberto Zorzi, intervista contenuta in Sculture da indossare, M. A. Tiozzi.


INFORMAZIONI

Alberto Zorzi

Argentum Vivum

Galleria Daniele, Padova

Fino al 25 novembre 2014

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