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Fallingwater: fiabesca, audace, selvaggia

Fase due. L’abbiamo agognata per giorni, settimane. Pareva non arrivare mai. Chissà come sarà, quali cambiamenti comporterà, che cosa potremo fare di diverso rispetto all’isolamento da quarantena. Chissà se davvero potremo tornare a lavorare, ripartire. E così abbiamo aspettato una data che – ciò nonostante – scivolava continuamente via. Ogni volta che ci sembrava quasi di poterla afferrare, questa sgusciava ad un soffio dalle nostre dita facendo un balzo in avanti di altre due, tre settimane. Non è ancora tempo, troppi contagi. Troppe perdite.

Poi è arrivata. Fase due, ripartenza. Interi settori del nostro sistema produttivo che il 4 di maggio hanno finalmente girato la chiave d’accensione dopo quasi sessanta giorni di lockdown. È una ripartenza prettamente economica, ci siamo detti. Dobbiamo continuare a fare attenzione, ci siamo detti. Ad uscire solo se strettamente necessario, e con tutte le precauzioni del caso. Non è un liberi tutti. Ce lo siamo detti, eccome se ce lo siamo detti.

Ma la verità è che quasi due mesi chiusi fra quattro mura domestiche che mai avremmo pensato di poter arrivare a detestare, sono tanti. E la fase due per ciascuno di noi non ha segnato solo il via per una lenta ripartenza produttiva. Ma la possibilità di una boccata d’aria fresca. Distanziati, con guanti, mascherina, fiumi di disinfettante. Ma finalmente fuori.

Fallingwater, by Frank Lloyd Wright. 2007, Sxenko / CC BY 03
Fallingwater, by Frank Lloyd Wright. 2007, Sxenko / CC BY 03

Perché in quarantena abbiamo saggiato quanto la natura potesse mancarci. Il sole sulla pelle, l’aria profumata di una primavera ormai galoppante, il verde brillante dell’erba ricoperta di margherite e morbida sotto le scarpe da ginnastica. Ci è mancata persino l’allergia da pioppi.

Chiusi nelle nostre case abbiamo sentito la nostalgia del rapporto con il mondo di fuori, il mondo naturale. Abbiamo cominciato a desiderare più ardentemente città verdi chiuse al traffico, aree pedonali, piste ciclabili. Paesaggi urbani che ci permettessero di riappropriarci del nostro rapporto con l’ambiente circostante, abbandonando l’alienazione della metropoli contemporanea fatta di smog e code in tangenziale a cui eravamo abituati. Abbiamo immaginato abitazioni diverse, più green, che non fossero solo scatole contenitive, ma ambienti traspiranti, organici

Eppure, più di un secolo fa, quando le metropoli hanno cominciato la loro arrampicata verso l’alto fatta di cemento armato e acciaio che si intrecciano a ripetizione piano sopra piano fino quasi a grattare il cielo, un architetto statunitense passato alla storia come “l’uomo che ha ricostruito il volto dell’America”, ha formulato un pensiero costruttivo differente, capace una volta per tutte di distruggere la scatola. Un personaggio asincrono, un vero outsider rispetto al razionalismo imperante nella prima metà del ‘900, ma la cui attualità di pensiero sta nel mettere in discussione quella sorta di antropocentrismo regnante nel rapporto tra città e natura, e fare spazio a una prospettiva sull’architettura che affondasse i piedi nella dimensione naturale: Frank Llyod Wright

Fallingwater, interni
Fallingwater, interni

Abitazioni a misura d’uomo, in cui forme, dimensioni e sviluppo si generassero armonicamente dalle abitudini e dalle necessità dei propri abitanti. E dall’ambiente circostante. Entità olistiche in cui ogni elemento è collegato agli altri: sito e struttura, interni ed esterni, mobili, ornamento, architettura. Abitazioni uniche, modulate organicamente nel contesto.

Come Fallingwater House, una delle abitazioni più straordinarie ed audaci che siano mai state realizzate, e che mostra in maniera esemplare il legame inscindibile tra uomo, natura e architettura che guida lo spirito con cui costruisce Wright. Edificata tra il 1936 e il 1939 nei boschi rigogliosi ed immensi della Pennsylvania, Fallingwater voleva essere la risposta al desiderio del committente – il facoltoso Edgar J. Kaufmann – di una villa per il tempo libero in prossimità della cascata sul torrente Bear Run. 

Il risultato è quanto di più spettacolare si possa chiedere a un’abitazione: una casa integrata nella cascata stessa, che grazie a terrazze a sbalzo estremamente aggettanti ancorate direttamente nella roccia, e un complesso equilibrio tra interni ed esterni creato dal gioco di vetrate e di intrecci violenti tra le superfici verticali e i piani orizzontali, produce l’effetto di una vera e propria simbiosi tra l’edificio e la natura da cui esso sembra scaturire spontaneamente.

Fallingwater
Fallingwater

Gli elementi più straordinari sono senza dubbio le terrazze, audaci in maniera quasi fiabesca, che esplodono dal nucleo centrale costruito da rocce emergenti e nelle quali è ricavato il camino – il focolare domestico, cuore pulsante dell’abitazione – che domina l’open plan del soggiorno. Ed è proprio la potenza delle rocce a permettere, tramite travi in acciaio e pilastri in cemento armato, l’intricato nodo di livelli verticali e aggetti orizzontali che si dirama nello spazio, come a riprendere nel proprio movimento il fiotto generato dalla massa d’acqua che si abbandona alla gravità nella cascata sottostante. Una cascata che fuoriesce direttamente dall’abitazione, senza che però questa ne devî in qualche modo lo scorrere naturale. Un sottile gioco di equilibri – e non un rapporto di forza o dominio – tra un’architettura capace di dialogare e allo stesso tempo apprendere da una natura che in ogni caso non si tocca.

Il flusso libero del design di Wright percorre tutta la casa, annullando la contrapposizione tra naturale e artificiale, tra ambiente interno ed esterno, e creando un edificio che a ottant’anni dalla costruzione è ancora capace di togliere respiro, grazie a quel suo aspetto così straordinariamente moderno da risultare senza tempo.

Fallingwater by Frank Lloyd Wright in Pennsylvania. 2007, Lykantrop
Fallingwater by Frank Lloyd Wright in Pennsylvania. 2007, Lykantrop

Tutti gli elementi verticali della casa sono ricavati da pietra locale – muri di conci a spacco, meravigliosamente grezzi e irregolari, che conferiscono alla superficie un aspetto quasi scultoreo – mentre i pavimenti sono rivestiti in pietra levigata che evoca la superficie increspata del fiume sottostante appena prima che si abbandoni nella cascata. La luce chiara, abbondante e naturale entra dalle lunghe file di finestre incorniciate da un particolare profilato in acciaio color porpora – le bellissime vetrate disegnate da Wright, eleganti, lineari eppure irripetibili nella propria finezza  – che corrono sia orizzontali sia verticali per tutto l’intreccio di piani che compone la casa. Gli arredi, in legno, riprendono il motivo degli alberi della foresta circostante, e sono ornati da cuscini e tappeti dai colori vibranti che, al pari di uccelli o fiori profumati, ravvivano gli interni. Fuori, la sinfonia allegra dell’acqua che scorre, un cinguettare gioioso, lo stormire placido del vento tra le foglie. C’è pace nella casa, tranquillità, la meravigliosa sensazione di sicurezza di un rifugio accogliente e luminoso. E poi quella scala che scende, aperta, sospesa, senza arrivare in nessun luogo se non a sfiorare all’acqua stessa.

Fallingwater by Frank Lloyd Wright in Pennsylvania. 2007, Lykantrop
Fallingwater by Frank Lloyd Wright in Pennsylvania. 2007, Lykantrop

Ogni elemento è parte di un unico organismo architettonico. I materiali, il linguaggio espressivo, gli aggetti dirompenti e i volumi importanti che tuttavia si integrano straordinariamente nello spazio del luogo. Come se Fallingwater si sviluppasse da quella stessa roccia che la sostiene. Se ne nutrisse, la venerasse. Il mio Dio ha la N maiuscola di Natura. Un edificio animato dalla stessa linfa vitale che scorre nelle cellule della vegetazione circostante. Fallingwater sorge lì, da quella cascata, e non potrebbe essere altrove. Esuberante, tattile, selvaggia ed elegante, con carattere; è figlia di un processo progettuale – quello di Wright – che non parte da una soluzione formale, ma dall’analisi del significato intrinseco degli spazi e dell’uso che se ne desidera fare, per poi, da questo, ricavare una soluzione architettonica figurativa unica e irripetibile. Fallingwater, estrema e bellissima, organismo autoctono cresciuto sulle cascate del Bear Run. 

Federica Musto

Amo l’arte in ogni sua forma, amo la bellezza e la curiosità che mi porta a scoprire sempre cose nuove.

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